Borri Francesco Giuseppe nasce a Milano il 4 maggio 1627 da Branda Borri (il padre) e da Savina Morosini, che morì nel 1630 poco dopo aver dato alla luce il secondogenito Cesare.
I Borri vantavano una nobiltà antichissima: discendevano da Afranius Burrhus, amico di Seneca (4 a.C.- 65 d.C.). Questa discendenza è confermata da un’infinità di testi di diverse epoche (Famiglie nobili milanesi, Milano 1882, De Crescenzi – Gentis Burrhorum notitia, 1660, Argentorati- eccetera).
Torniamo al 1600. Il padre Branda era un medico di fama, dalle universalmente riconosciute capacità diagnostiche; lo zio Cesare era collegiato e professore primario sia di diritto che di medicina nell’Università di Pavia.
Fu il padre a destare in Francesco Giuseppe, sin dalla sua infanzia, l’interesse per “l’arcana naturae” e per la medicina. Seguiva le ricerche alchimistiche del figlio con curiosità e passione. Per elevare l’educazione dei figli, Branda Borri, che non mancava di mezzi, scelse uno dei maggiori istituti educativi dell’Italia del tempo: il Seminario Romano, creato da Papa Pio IV nel 1565 e poi affidato ai gesuiti con lo scopo di plasmare futuri papi (vedasi Papa Innocenzo XII), uomini d’arme, cardinali, medici e politici di fede papale.
Francesco Giuseppe giunse a Roma nel 1640, adolescente impetuoso, con splendidi occhi verdi ed un fascino trascinatorio. Da uno dei suoi tutori: “dagli occhi, come due stelle, brillavagli fuori uno Spirito quasi superiore all’Humano”. Nel 1649 vi fu una ribellione di una trentina di allievi, si presume capeggiati proprio da Francesco Giuseppe, contro i sistemi educativi sempre più esasperanti e bigotti. Furono tutti espulsi. Continuò per suo conto gli studi intrapresi: alchimia, medicina, botanica, chimica, sostenuto da diversi nobili romani. Curava gratuitamente poveri e ricchi con risultati miracolosi. Questo iniziò ad infastidire il Vaticano e la famigerata Santa Inquisizione. Si dichiarava contrario allo studio e favorevole invece alla ricerca e alla sperimentazione, grazie ai laboratori messigli a disposizione dai nobili romani.
In conseguenza dell’ostilità del nuovo Papa Alessandro VII eletto nel 1655, si trasferì per un brevissimo periodo in Toscana, e più a lungo a Ferrara - da dove è partito l’attuale ed unico ramo Borri - ed infine a Milano. Erano però i tempi delle più atroci persecuzioni della Santa Inquisizione milanese che non impiegò molto a decidere di sottoporlo ad interrogatorio. Sapendo che ciò era un eufemismo, dato che le accuse erano di eresia e veneficio, Francesco Giuseppe riparò prima in Svizzera e dopo in Austria, ad Innsbruck, presso l’arciduca Ferdinando Carlo e la consorte, lasciandosi dietro una scia di guarigioni miracolose ed inspiegabili per quel tempo.
Roma chiese invano l’estradizione e a Campo dei Fiori venne messo al rogo soltanto il ritratto del Borri. Le minacce di un’incursione di armigeri pontifici in Austria, suggerì a Borri di trasferirsi a metà del 1659, con il grande appoggio logistico ed economico dell’arciduca, a Strasburgo, sotto la protezione del Senato della città. Ormai la fama lo precedeva in tutta Europa, anche nei più piccoli villaggi.
A Strasburgo il Borri riuscì in una difficile operazione della cataratta (prima al mondo), servendosi dello strumentario messo a punto per lui a Innsbruck dal chirurgo Rocco Mattioli.
Giovanni Frischmann, ambasciatore di Francia a Strasburgo, pubblicò nel 1660 un “Sacrum” in suo onore dove egli era poco meno che deificato. Roma stava però lavorando nell’ombra e Borri fu invitato dal Senato a trasferirsi in terra tedesca: Francoforte prima, poi Dresda, poi ancora Lipsia.
A fine 1660 inizia il periodo olandese ad Amsterdam che durerà sei anni, in modo agiato, curando gratuitamente e sempre finanziato dai nobili del luogo. Borri aveva una bella casa, l’uso di laboratori ed una certa rendita. E’ qui che, tanto dai suoi invidiosi detrattori quanto dai crescenti estimatori, si rafforza la credenza della capacità del Borri di arrivare alla pietra filosofale, capacità evidenziata da esperimenti ad Innsbruck. Il tutto sostenuto da altri e sempre negato da Borri.
Ad Amsterdam la sua fama di medico andava rapidamente oscurando quella degli altri. Poco dopo il suo arrivo vi aveva ottenuto due guarigioni straordinarie. Fama che si rafforza negli anni successivi; visitava con attorno a sé discepoli e assistenti. Nel 1662 cominciò a sperimentare su animali la sua tecnica per la rigenerazione degli umori oculari. La Medicina dei secoli successivi gli deve molto, come si vedrà anche in seguito. L’aristocrazia gli apre i suoi palazzi. Posa per uno dei più famosi ritrattisti di scuola olandese: Jurgen Ovens Forni. I visitatori a questo “libero filosofo” sono soprattutto inglesi.
I rapporti con l’Inghilterra sono di carattere scientifico. Una Relazione alla Royal Society (il Segretario H. Oldenburg era un estimatore del Borri), con la presentazione di un campione del suo legno incombustibile, ha luogo il 28 agosto 1661 (Th. Birch, The History of the R. Society, London1756, I, p. 42). Da parte inglese non gli vennero mai meno stima e considerazione. Hooke, Boyle, Moray e tanti altri ricercatori inglesi lo invitavano a trasferirsi in Inghilterra. Lo stesso Newton, poco più che venticinquenne, raccomandava all’amico Aston nel maggio 1669 di ricercare il Borri, “depositario di grandi segreti” (Corresp., Cambridge 1959, I, p 11; II, p 304).
Lo Stato Pontificio non demorde e si mette nuovamente sulle sue tracce. Nel 1667 Borri è a Wolfenbuttel, ospite del duca Rodolfo Augusto. Poi ad Amburgo, presso la nobile Cristina. Non smette di pensare all’inghilterra; ha uno scambio di regali e corrispondenza con Re Carlo II, noto per il suo interesse per la chimica.
In quel mentre viene imperiosamente chiamato a Copenaghen da Federico III. Accolto generosamente, nei giardini del Re ha modo di impiantare un laboratorio rimasto unico nella storia di quei tempi e di quelli immediatamente successivi. Inizia un pellegrinaggio da tutta Europa da parte dei grandi ricercatori del tempo: Borch, Bartholin, Vallisnieri e d altri. Ognuno di loro ha lasciato scritti, che sarebbe troppo lungo elencare, costellati di lodi e gratitudine per Borri. Importanti diverse Riviste Scientifiche del 1668 e 69 con riferimenti lusinghieri da parte di intellettuali non direttamente conosciuti dal Borri.
Sono di questi tempi le ricerche di Borri sul cervello umano. E’ stato il primo a confermare l’alta componente lipidica del cervello come pure è stato il primo ad intuire l’importanza di “un certo liquido sottilissimo e di odor piacevole” nel quale – pensava –“dovesse risiedere l’anima razionale” e che aveva “collegamenti con la differenziazione degli organi”. Gli stessi organi, erano” impressi” dal duplice seme dei genitori da una “virtus immortalis”. Intuizioni emozionanti! Se lo Stato Pontificio non lo avesse perseguitato prima e annientato poi, forse la scoperta del DNA poteva oggi essere anticipata.
Nel 1670 lascia la Danimarca per raggiungere la Turchia, suo vecchio obiettivo. Il viaggio verso la Turchia rappresenta però l’inizio di tutte le sue più grandi vicissitudini. Fermato dalle truppe austriache in modo poco chiaro, subisce provocazioni (probabilmente concordate con lo Stato Pontificio) che lo portano a reagire e ad essere prima arrestato, poi consegnato al nunzio del vaticano Mons. Pignatelli il 20 giugno 1670 e portato a Roma scortato da trenta soldati pontifici e sorvegliato da due guardie speciali che avevano il compito di farlo arrivare vivo al Tribunale dell’Inquisizione.
A Roma, contrariamente a quanto si aspettava, non fu mandato al rogo. Non solo Roma ma tutta l’Europa dei nobili e degli intellettuali insorse a tal punto che la pena fu commutata in carcere a vita presso Castel S.Angelo. Qui nascono altre leggende scaturite dal fatto che Borri venisse fatto uscire ogniqualvolta si dovesse curare qualcuno di importante, sempre guarendolo. Di questo vi sono molte tracce storiche, come ad esempio nel 1675 per la malattia apparentemente incurabile del Duca d’Entrèes.
Clemente X concesse a Borri di uscire per visitare l’importante diplomatico francese nella sua residenza di Palazzo Farnese. Fu anzitutto un successo di folla. Molti romani e non solo accorsero a vederlo. Borri fu costretto a mostrarsi dalla loggia del Palazzo alla folla plaudente. Il Duca francese, perfettamente guarito, impose al successivo papa Innocenzo XI di adibire all’interno del carcere un laboratorio alchemico e tutte le possibili comodità per il Borri, compresa la facoltà di ricevere chiunque. Lo stesso Papa Innocenzo XI ricorse alle sue cure e lo diede ripetutamente in prestito, al di fuori di Castel S: Angelo, a diverse persone importanti dell’epoca: il cardinale Nerli, il marchese di Palombara (vds “Porta Magica o Alchemica), la regina Cristina nel frattempo trasferitasi a Roma, eccetera. Questo è storicamente provato. Poi la leggenda vuole che Borri fosse visto più volte, in carrozza da solo, girare per Roma.
Questo periodo abbastanza fortunato e sereno finì però nel 1694 per intervento del nuovo papa Innocenzo XII, quel Pignatelli ex nunzio apostolico che lo incatenò a Vienna. Gli fu tolta ogni libertà ed ogni facilitazione. L’anno dopo si ammalò di febbre malarica. Si dice che fu fatto ammalare. Ipotesi credibile visto che Borri, prima persona al mondo, chiese la corteccia di china, oggetto di sue ricerche pregresse ovviamente di successo. La corteccia di china non fu nemmeno cercata ed il Borri morì il 13 agosto del 1695. E pensare che Laboratori Borri ha venduto per decenni e fino al 2012 grandi quantità di corteccia di china alla Farmacia del Vaticano per l’inoltro alle varie Missioni africane!
Chi legge deve conto che le varie accuse pontificie, l’invidia e la cattiveria di una parte del ceto medico e di quello ecclesiastico dell’epoca, non furono alla fine mai provate. E’ indubbio che Giuseppe Francesco Borri fosse un geniale precursore, un uomo di scienza e tutto il positivo di cui si può parlare, ma (diremmo oggi) anche un abile venditore ed un grande affascinatore. A Londra, Esponenti della Royal Society come Newton, Hooke, Oldenburg corrispondevano con entusiasmo, per loro stessa ammissione, con Borri per poter andare oltre la semplice, dogmatica e spesso noiosa ricerca scientifica.
Luigi Piccolo